domenica 29 dicembre 2019

Chiunque avrà una lontana familiarità con le difficoltà dello stile saprà figurarsi come andassero le cose: lui scriveva, e quel che aveva scritto non gli sembrava cattivo; leggeva, e trovava tutto da buttarsi ai cani, correggeva, per poi fare a pezzi il foglio; tagliava; aggiungeva; andava in visibilio, per cadere tosto in disperazione; la notte gli era propizia, e inviso il mattino; coglieva al volo un’idea per poi perderla; si vedeva davanti il suo libro sin nei minimi particolari, e un momento dopo esso svaniva; recitava, a tavola, la parte dei suoi personaggi; la declamava passeggiando; ora rideva, ora piangeva; ondeggiava fra questo stile e quest’altro; oggi preferiva l’eroico e il pomposo, domani il semplice, il piano; ora esplorava la valle di Tempe, ora i campi di Kent e Cornovaglia; e  non avrebbe saputo dire di sé se fosse il genio più divino o il più grande pazzo di questo mondo. [...] Si sentiva invadere dalla ineffabile speranza che tutta la sua turbolenza giovanile, le sue goffaggini, i suoi rossori, le lunghe passeggiate, l’amore della natura, altro non fossero se non la prova che egli apparteneva a una razza sacra piuttosto che nobile – che egli fosse, insomma, destinato per nascita a essere scrittore piuttosto che gentiluomo. Per la prima volta dopo la notte della grande inondazione, si sentì felice.


Orlando ( V.  W. )



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