giovedì 22 ottobre 2020

 



Sono seduto in una delle bettole

della Cinquantaduesima strada*

incerto e spaventato

mentre scadono le astute speranze

d’un decennio basso e disonesto:

onde d’ira e paura

circolano per le luminose

e oscurate contrade della terra,

a ossessionare le nostre vite private;

l’indicibile odore della morte

offende la notte di settembre.

Meticolosa erudizione può 

esumare l’offesa tutta intera che,

da Lutero ad oggi

ha spinto una cultura alla pazzia,

scoprire quello che successe a Linz**,

che smisurata imago fabbricò

un dio psicopatico:

io e il pubblico sappiamo

ciò che ogni bambino impara a scuola,

coloro a cui male è fatto,

male faranno in cambio.

L’esiliato Tucidide sapeva

tutto quello che può dire un discorso

sulla Democrazia***,

e quello che fanno i dittatori,

le sciocchezze senili che pronunciano

a un apatico sepolcro;

egli analizzò tutto nel suo libro,

la ragione messa al bando,

la sofferenza che si fa abitudine,

malgoverno e angoscia:

tutto questo ci è inflitto un’altra volta.

In quest’aria neutrale

dove ciechi grattacieli usano

tutta la loro altezza a proclamare

il vigore dell’Uomo Collettivo,

ogni lingua versa a gara

la sua scusa vana:

ma chi può vivere a lungo

in un sogno euforico;

guardano dallo specchio in fissità

il volto dell’imperialismo

e il sopruso internazionale.

Visi lungo il bancone

s’aggrappano al loro giorno medio:

le luci non devono mai spegnersi,

la musica deve continuare,

tutte le convenzioni cospirano

perché questa fortezza assuma in sé

l’arredamento di casa;

affinché non si veda dove siamo,

perduti in un bosco di fantasmi,

bambini paurosi della notte,

che non sono mai stati allegri o buoni.

La più ventosa roba militante 

che Importanti Personaggi strillano

è meno rozza di quel che vogliamo: 

ciò che Nijinsky impazzito scrisse

su Diaghilev****

è vero per il cuore più normale;

perché l’errore innato nelle ossa 

di ogni donna e ogni uomo

bramare quel che non può avere,

non già l’amore universale,

bensì d’essere amato lui solo.

Dalla conservatrice oscurità

verso la vita etica

arrivano gli ottusi pendolari,

ripetendo il voto mattutino:

“Voglio essere fedele a mia moglie,

m’impegnerò di più sul lavoro”,

e i governanti inetti si svegliano

riprendendo il loro gioco obbligato:

chi può liberarli adesso,

chi può arrivare ai sordi,

chi può parlare per i muti?

Tutto quello che ho è una voce

che smuova la menzogna nascosta,

la menzogna romantica annidata nel cervello

del sensuale uomo della strada

e la menzogna dell’Autorità

i cui palazzi palpano il cielo:

non c’è una cosa chiamata Stato

e nessuno esiste mai da solo;

la fame non consente scelta

al cittadino o alla polizia;

dobbiamo amarci l’un l’altro o morire.

Indifeso sotto la notte

il nostro mondo giace inebetito;

eppure, sparsi dappertutto,

ironici punti di luce

lampeggiano là dove i Giusti

si scambiano i loro messaggi:

oh, che io possa, composto come loro

d’Eros e di polvere,

assediato dalla medesima

negazione e disperazione,

mostrare una fiamma che afferma.




(W. H. Auden, “1° settembre 1939″)








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