Sono seduto in una delle bettole
della Cinquantaduesima strada*
incerto e spaventato
mentre scadono le astute speranze
d’un decennio basso e disonesto:
onde d’ira e paura
circolano per le luminose
e oscurate contrade della terra,
a ossessionare le nostre vite private;
l’indicibile odore della morte
offende la notte di settembre.
Meticolosa erudizione può
esumare l’offesa tutta intera che,
da Lutero ad oggi
ha spinto una cultura alla pazzia,
scoprire quello che successe a Linz**,
che smisurata imago fabbricò
un dio psicopatico:
io e il pubblico sappiamo
ciò che ogni bambino impara a scuola,
coloro a cui male è fatto,
male faranno in cambio.
L’esiliato Tucidide sapeva
tutto quello che può dire un discorso
sulla Democrazia***,
e quello che fanno i dittatori,
le sciocchezze senili che pronunciano
a un apatico sepolcro;
egli analizzò tutto nel suo libro,
la ragione messa al bando,
la sofferenza che si fa abitudine,
malgoverno e angoscia:
tutto questo ci è inflitto un’altra volta.
In quest’aria neutrale
dove ciechi grattacieli usano
tutta la loro altezza a proclamare
il vigore dell’Uomo Collettivo,
ogni lingua versa a gara
la sua scusa vana:
ma chi può vivere a lungo
in un sogno euforico;
guardano dallo specchio in fissità
il volto dell’imperialismo
e il sopruso internazionale.
Visi lungo il bancone
s’aggrappano al loro giorno medio:
le luci non devono mai spegnersi,
la musica deve continuare,
tutte le convenzioni cospirano
perché questa fortezza assuma in sé
l’arredamento di casa;
affinché non si veda dove siamo,
perduti in un bosco di fantasmi,
bambini paurosi della notte,
che non sono mai stati allegri o buoni.
La più ventosa roba militante
che Importanti Personaggi strillano
è meno rozza di quel che vogliamo:
ciò che Nijinsky impazzito scrisse
su Diaghilev****
è vero per il cuore più normale;
perché l’errore innato nelle ossa
di ogni donna e ogni uomo
bramare quel che non può avere,
non già l’amore universale,
bensì d’essere amato lui solo.
Dalla conservatrice oscurità
verso la vita etica
arrivano gli ottusi pendolari,
ripetendo il voto mattutino:
“Voglio essere fedele a mia moglie,
m’impegnerò di più sul lavoro”,
e i governanti inetti si svegliano
riprendendo il loro gioco obbligato:
chi può liberarli adesso,
chi può arrivare ai sordi,
chi può parlare per i muti?
Tutto quello che ho è una voce
che smuova la menzogna nascosta,
la menzogna romantica annidata nel cervello
del sensuale uomo della strada
e la menzogna dell’Autorità
i cui palazzi palpano il cielo:
non c’è una cosa chiamata Stato
e nessuno esiste mai da solo;
la fame non consente scelta
al cittadino o alla polizia;
dobbiamo amarci l’un l’altro o morire.
Indifeso sotto la notte
il nostro mondo giace inebetito;
eppure, sparsi dappertutto,
ironici punti di luce
lampeggiano là dove i Giusti
si scambiano i loro messaggi:
oh, che io possa, composto come loro
d’Eros e di polvere,
assediato dalla medesima
negazione e disperazione,
mostrare una fiamma che afferma.
(W. H. Auden, “1° settembre 1939″)
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