domenica 29 novembre 2020

 I pomeriggi d'estate erano lunghi, all'ormeggio, sotto il sole torrido che annerisce le schiene, le reti venivano ripassate lentamente dalla barca a una cesta posizionata sulla banchina facendole trasitare su un tavolone che fungeva da incudine. Un lavoro monotono e ripetitivo che il tamburare compulsivo delle clave sembrava avere il potere di alleviare sprigionando un suono magico capace di attirare a lunga distanza una fauna assortita di visitatori affezionati. In particolare nella stagione estiva era raro che non avessimo compagnia. Pescatori, dilettanti, curiosi, perdigiorno, amici, pescatori in disarmo alcuni dei quali pronti a fornire volontariamente il loro contributo nel tempo delle chiacchiere. Tra loro Mario un vecchio Pescatore originario del nord Sardegna che arrivò a Cala Gonone in gioventù, pescando lungo costa con suo padre su una piccola barca. Qui decise di fermarsi e di trascorrere il resto della vita.

Sopravviveva di una misera pensione, in una casetta costruita con l'aiuto economico dei nuovi compaesani e del comune. Era molto riservato, di poche parole con chiunque. Di lui si sapeva poco, specie noi giovani che lo avevamo conosciuto quando era già in pensione e piuttosto ritirato. 


    ( ...... )


Quando lo vedevo arrivare in porto vestito di serietà e stranezza, col passo barcollante, la sciarpa al collo anche nella stagione calda e le scarpe di due numeri più grandi era un momento speciale. Erano rare le occasioni di approcciare quest'uomo schivo ed introverso dal passato misterioso, almeno per noi ragazzi che che sul suo conto non sapevamo che un pugno di aneddoti, nemmeno raccontati da lui. La sua visita metteva in scena il ripetersi di un rituale che conoscevo a memoria per averlo vissuto chissà quante volte, e non solo in quel contesto, e ogni volta mi affascinava e catturava la mia attenzione come fosse stata la prima. Nel mio pensiero, quel modo di relazionarsi nel "linguaggio" che peraltro conosceva a menadito, aveva un equilibrio naturale perfetto e un profondo senso di giustizia. Uno scambio umano che nell'altrui considerazione celebrava il massimo rispetto di sé stessi.


Si fermava davanti al Sant'Andrea borbottando un saluto tra i denti a cui rispondevamo schietti e sorridenti per metterla a suo agio. Claudio lo invitava a salire a bordo, lui annuiva stringendo tra indice e pollice della mano un mozzicone di sigaretta che gli spariva tra le labbra indugiando per consumare le ultime boccate. Con un balzo saliva a bordo si metteva a sedere a fianco a noi sulla falchetta, davanti al gran mucchio di reti che eravamo intenti a passare. Lo osservavo silenzioso di simulando attenzione del mio lavoro, ma anticipavo col pensiero ogni gesto e ogni parola di quelle scene come in un film conosciuto a memoria. Mario domandava qualcosa sulla pesca scuotendo già la testa prima ancora di ricevere la risposta, poi esclamava qualcosa sul tempo e sulla bontà del mare che non erano più quelli di una volta. Afferrava la rete del mezzo, la portava sulle gambe facendola scorrere sino al primo nodo da sbrogliare: il "riziniello" che in pochi gesti dissolveva rapidamente tra le sue dita. Proseguiva scorrendo la rete tra le mani sinché arrivava al pesce che sbagliava con abilità dando un notevole contributo al nostro lavoro. Claudio esclamava ancora qualche frase di circostanza, inveendo contro i delfini quando li capitava tra le mani una triglia troncata a metà.- Quei ladroni non ti lasciano un pesce sano!-  Poi in un momento, solo apparentemente casuale ma che in realtà giungeva in un tempo ben preciso, allungando il mento per indicare la rete che gli occupava le mani:- Mario prenditi i "pesci per mangiare".- Non esistevano disposizioni in merito e nessuno si sarebbe lamentato in ogni caso per la scelta. Anche noi di bordo, ogni giorno a fine lavoro, mettevamo da parte per la nostra razione i cosiddetti "pesci per mangiare", selezionandoli col medesimo criterio che Mario, da vecchio per, utilizzava per la sua parte.


Mario ringraziava con un cenno del capo, proseguendo il suo lavoro; lanciava nella apposita cesta ogni pesce appena smagliato. Quando compariva tra le mani quello giusto, corrispondente a quei criteri di buon senso provenienti da una saggezza a, lo smagliava e lo posava in un angolo all'ombra di fianco a se. Di tanto in tanto, nel ripetere l'operazione, descriveva a voce alta in che maniera lo avrebbe cucinato e ognuno di noi aggiungeva qualche ingrediente che insaporiva la conversazione.


      ( .... )



Quando aveva messo da parte la quantità sufficiente, Mario estraeva dalla tasca dei pantaloni un sacchetto che aveva sempre con sé,  ci sistemava dentro i pesci e lo riponeva con cura sotto l'ombra più vicina. Prima di congedarsi si accovaciava di nuovo verso la rete per accompagnarci ancora un poco nel lavoro. Quando l'ora era matura si metteva in piedi, afferrava la cima legata al manico del secchio facendogli il compiere due giri attorno alla mano e lo lanciava fuoribordo per raccogliere dell'acqua, con un gesto di abilità che era la prova del nove del Marinaio. Posava il secchio colmo sulla coperta, chinandosi sciacquava le mani e versava il contenuto rimanente sul punto della coperta dove aveva precedentemente ammassato la sua parte di pesce.

Saltava agile a terra senza appoggiare le mani, a dispetto degli acciacchi e dell'età. Ritto sulla banchina si parava dinanzi a noi col sacchetto di pesci in mano, osservando la scena da quella prospettiva, silenzioso, sembrava dedicare all'occasione una preghiera di ringraziamento. Salutava con un gesto della mano, con l'altra dava un giro di sciarpa intorno al collo e, ringraziando, di congedava. 


Col sorriso generoso e soddisfatto, Claudio ricambiava il saluto, continuando a seguirlo con lo sguardo mentre si incamminava, la sua espressione si faceva via via malinconica, come se stesse osservando se stesso più vecchio, di spalle, allontanarsi.



Gaetano Mura

Le sirene hanno smesso di cantare



https://youtu.be/vkVsreKOBlk








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