mercoledì 10 febbraio 2021

 Un giorno di ottobre decisi di fare anch'io una capsula del tempo. Credo che l'idea mi venisse quando trovai un involucro cilindrico di cartone che mio padre aveva portato a casa. Lo foderai all'interno e all'esterno con la stagnola che conservavo metodicamente prelevandola dai pacchetti di sigarette e dagli incarti del chewing gum. Il mio amico Arnold scoprì cosa stavo facendo e decise di partecipare. E un giorno, dopo la scuola, mi accompagnò a Claremont Park, il posto che avevo scelto per seppellire la capsula.

Mi addentrai nel parco, fino a un punto dove c'era un gruppo di cespugli. Lì il terreno era soffice, w si poteva scavare in segreto. Io e Meg avevamo giocato molte volte in quel punto. Arnold mi aiutò a scavare la buca. La misurammo con il cilindro fino a quando potremmo inserirlo completamente. Con fare solenne mostrai ad Arnold gli oggetti che avevo scelto per presentare al futuro la mia vita come l'avevo vissuta: il mio distintivo decodificatore di Tom Mix con l'indicatore a forma di pistola. La mia biografia manoscritta di Franklin Delano Roosevelt, quattro pagine che mi avevano fruttato il massimo dei voti. Fu neccessario arrotolarla come un sigaro. La mia armonica M. Hohner Marine Band nell'astuccio originale, che era appartenuta a Donald e che mi aveva ceduto quando aveva ricevuto in regalo il modello più grande. Due astronavi di piombo Totsy Toy con la vernice scrostata, per dimostrare che avevo previsto il futuro. Il mio Little Blue Book, come diventare ventriloquo, non perché fossi riuscito a imparare, ma perché avevo tentato.  E finalmente qualcosa che avevo preferito non mostrare ad Arnold, una calza di seta di mia madre, tutta smagliata, che lei aveva gettato via e io avevo recuperato, come esempio di tessuti usati nei nostri tempi... sebbene avessi sentito dire che le donne non portavano più calze di seta per protestare contro i giapponesi, e avevano adottato quelle di cotone o del nuovo filato chimico che si chiamava nailon. 

Anche Arnold aveva portato qualcosa e mi chiese se poteva metterlo nella capsula. "È il mio vecchio paio di occhiali da vista" disse. "La montatura è incrinata, però forse capiranno un po' la nostra tecnologia quando guarderanno le lenti." Gli dissi che andava bene. Una volta, molto tempo prima, Arnold mi aveva mostrato come si poteva incendiare un arbusto secco con quegli occhiali. Li mise nel cilindro, io avvitai il coperchio e lo infilai nel terreno.

Poi estrassi di nuovo il cilindro,svitai io coperchio e ripresi il manuale del ventriloquo. Mi sembrava che fosse uno spreco, seppellire un libro.

Rimisi il cilindro nel buco. Ci guardammo intorno per essere certi che nessuno ci avesse visti, e riempimmo il buco con la terra, ci alzammo e calpestammo il suolo per pareggiarlo e renderlo duro com'era tutto intorno. Penso che sentissimo entrambi l'importanza di ciò che stavamo facendo. Sopargemmo qualche foglia e qualche piccola zolla sopra quel punto per mimetizzarlo.

Ricordo il tempo che faceva quel giorno, era freddo e il vento soffiava a raffiche e le nubi correvano veloci. Le foglie morte volavano via, e in Claremont Park i grandi alberi scricchiolavano. Tornai a casa camminando controvento. Misi le mani in tasca, aggobbii le spalle e proseguii. Mi esercitai a produrre il tono del ventriloquo. Lo ascoltai mentre attraversavo il parco e il vento mi pungeva le guance e mi velava gli occhi di lacrime.



E. L.  Doctorow


      La fiera mondiale


https://youtu.be/0a4lbYRhpQs








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