mercoledì 1 giugno 2022

 Non possiamo saperlo. Nessuno l’ha detto.


Forse là non c’è altro che una rete sfondata,


Quattro sedie spagliate e una vecchia ciabatta


Rosicchiata dai topi. C’è caso che Dio sia un topo


E che scappi a nascondersi appena arriviamo.


E c’è caso che invece sia la vecchia ciabatta


Rosicchiata e consunta. Non possiamo sapere.


Forse Dio ha paura di noi e scapperà, e a lungo


Noi dovremo chiamarlo e chiamarlo coi nomi più dolci


Per indurlo a tornare. Da un punto lontano


Della stanza lui ci fisserà immobile.


Forse Dio è piccolo come un granello di polvere,


E potremo vederlo soltanto col microscopio,


Minuscola ombra azzurra sul vetrino, minuscola


Ala nera perduta nella notte del microscopio,


E noi là in piedi, muti, sospesi a guardare.


Forse Dio è grande come il mare, e spumeggia e tuona.


Forse Dio è freddo come il vento d’inverno,


Forse ulula e romba come un rumore assordante,


E dovremo portare le mani alle orecchie,


Agghiacciati e tremanti, rimpiattendoci al suolo.


Non possiamo sapere com’è Dio. E di tutte le cose


Che vorremmo sapere, è la sola veramente essenziale.


Forse Dio è noioso, noioso come la pioggia,


E quel suo paradiso è una noia mortale.


Forse Dio ha gli occhiali neri, una sciarpa di seta,


Due volpini al guinzaglio. Forse ha le ghette,


Sta seduto in un angolo e non dice parola.


Forse ha i capelli tinti, ha una radio a transistor,


E si abbronza le gambe sul tetto d’un grattacielo.


Non possiamo sapere. Nessuno sa niente.


Forse appena arrivati ci manda allo spaccio


A comprargli del pane e salame ed un fiasco di vino.


Forse Dio è noioso, noioso come la pioggia


E quel suo paradiso è la solita musica,


Svolazzare di veli, di piume, di nuvole,


Un odore di gigli recisi, una noia di morte,


E ogni tanto una mezza parola per passare il tempo.


Forse Dio sono due, una coppia di sposi


Abbandonati al sonno ad un tavolo d’osteria.


Forse Dio non ha tempo. Ci dirà di andarcene


E tornare più tardi. Noi andremo a passeggio


Siederemo su di una panchina a contare i treni che passano,


Le formiche, gli uccelli, le navi. A quell’alta finestra,


Dio s’affaccerà a guardare la notte e la strada.


Non possiamo sapere. Nessuno lo sa.


C’è anche caso che Dio abbia fame e ci tocchi sfamarlo,


Forse muore di fame, e ha freddo, e trema di febbre,


Sotto una coperta sudicia, piena di cimici,


E dovremo correre in cerca di latte e di legna,


E telefonare a un medico, e chissà se subito


Troveremo un telefono, e il gettone, e il numero,


Nella notte affollata, chissà se avremo abbastanza denaro."





Natalia Ginzburg, in Paragone (1965)








https://youtu.be/LCvQlnJ0uZs





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