giovedì 27 luglio 2023

 Una stanza in affitto a Londra 27 ottobre 1952, ore 6.43 


Nella stanza all'ultimo piano di una casa a schiera fatiscente di fronte alla Terrace, una luce è rimasta accesa tutta la notte. Era visibile dal tuo letto ogni volta che ti voltavi verso la finestra, un gesto necessario per sollevare la bottiglia dal pavimento. È così quasi ogni notte. All'imbrunire la lampadina si accende. Al mattino, un paio di istanti dopo l'ultimo barbaglio dei lampioni, si spegne, e la tenda sdrucita viene chiusa. 


Ora hai sessantacinque anni, forse sei vecchica come quella casa, forse anche un po' di più che idea. Ti avvicini alla tua unica finestra: quando la tocchi, è gelida. In Inghilterra sta arrivando l'inverno. Il clima è stato rigido. La notte scorsa una bufera ha investito Londra. 


Non hai mai visto nessuno entrare o uscire da quella casa desolata, ma il postino consegna ancora la corrispondenza, infilando le buste tra i vetri del pannello della porta: la cassetta delle lettere è chiusa da anni, inchiodata. Gli uomini orinano nella veranda. Una passeggiatrice fa il suo lavoro lì, e da tempo la balaustra è imbrattata di parole oscene. Le strombature di molte finestre sono ricoperte con assi. Sulla facciata germoglia la buddleja. 


Hai l'impressione che qualcuno occupi la stanza. Una sera a mezzanotte un'ombra ha attraversato fugacemente il vetro superiore della finestra o così hai creduto e da come si muoveva sembrava un uomo. C'è stato un periodo in cui pensavi a lui come fa a vivere da solo in una vecchia casa bombardata? chi gli scrive? di cosa parlano? perché ti aiutava a far passare le ore implacabili prima dell'alba. Ma stamane qualcun altro è tornato da te, come venendo dalla stessa luce, da una stanza non vista, da una città dove hai vissuto gli ultimi tredici anni, ma che non sei mai riuscita a chiamare tua. Capita a tutti: che la nostra mente venga attraversata in silenzio da qualcuno che credevamo di aver dimenticato, o volutamente rimosso. Ma oggi apparirà come un viandante che non vuole lasciarsi scacciare, un emigrante che cerca ancora di tornare a casa. 

Lui a volte era proprio problematico. Perché negarlo? Irritabile, inflessibile per un uomo relativamente giovane. Perché le chiacchierone e le bacchettone e le pettegole e le maliziose ci tenevano sempre a rimarcare la differenza d'età fra voi due. Arpie invidiose. Ipocrite trigozzute, troppo subdole per criticare apertamente. Che cosa sono gli anni? Finzioni. Macchie d'inchiostro sopra un calendario. Ultimamente ci sono momenti in cui ieri sembra una vita fa, e il domani un secolo che ancora deve iniziare, tanto sembra irraggiungibile. E se lui fosse vissuto oltre la giovinezza gli anni si sarebbero ristretti, perché i membri di una coppia sposata diventano coetanei, con il tempo vanno a somigliarsi come fermalibri, i loro ricordi in legature ingrigite fra l'uno e l'altra, e non lasciano più leggere quello che un tempo li divideva. Quanti anni avrebbe adesso? Ottanta? E passa. Un vegliardo inciabattato. Un pantofolaio. Un barbogio. Difficile calcolare nella nebbia dei postumi della sbornia. La tua conta dei decenni non fa che incagliarsi, inciampare. Dopo qualche tentativo fallito l'abbandoni. 




Bevi un sorsetto amaro. Medicina. Solo per rimetterti in sesto. Il tanfo di gin ti fa lacrimare, accentua la presenza di lui, ma tu inghiotti e smaltisci in una smorfia. Lo sprezzo quotidiano di questa città sgarbata. Non l'ha scritto Yeats? o quell'altro crapone? Shaw. Di Dublino, si lamentava quello: ma tutte le città sono sgarbate con i vecchi, i poveri, i collaborazionisti. Che cos'hanno i poeti, da abbellire sempre tutto? Cristo, ancora un po' e chiameranno la loro forfora «neve fatata». 


Non molto dopo l'alba. L'ora dei baci-ombra. Luce grigia alla finestra e il sibilo del bollitore mentre ti dai attorno senza riuscire a scaldarti. Le muffole sbrindellate, ormai. Calzi le scarpe di un morto. Be', perché spendere a vanvera? È peccato. Giù a Brickfields Terrace un carro del latte sta facendo le consegne. Ti domandi se il tizio ti anticiperebbe un altro mese di credito, ma il timore di un rifiuto ti dissuade. La brina inargenta il marciapiede, la cabina telefonica, la strada, i colonnati cadenti della casa dove la luce resta accesa tutta notte, un tendone sopra la drogheria all'angolo di Porchester Road. I corvi girano attorno ai parapetti dei comignoli. 


La porzione indigena di Johnny Synge. La piccola squaw del protestante. La puttanella del furfantello di Kingstown. Insulti scagliati tanto tempo fa dai motteggiatori dell'arguta Dublino, ancora udibili dopo più di quarant'anni. 

Ti trascini via dalla finestra, fino alla nicchia vicino al fornello. La stanza odora d'acqua di cavolo e polvere. Sotto di te, da qualche parte, c'è accesa una radio a volume troppo alto, ma tu non protesti per il disturbo, a volte trovi che ti metta una strana allegria. Ci sono ore, a tarda notte, in cui ti manca il suo conforto. Il silenzio può essere pauroso per chi è solo. Lui diceva sempre che avevi troppa immaginazione, tendevi troppo a fantasticare.Un tratto cattolico, scherzava. In queste notti leggi i libri Mills & Boon presi alla biblioteca pubblica di Earl's Court Road. Di certo non ti divertiresti nemmeno un po' se non fosse per i True Romances. Quanto li avrebbe odiati, lui, questi tuoi concubini segnati dalle orecchie e dalle lacrime. «L'oppio delle zitelle» avrebbe ghignato. 

Il sole asciugherà tutti gli oceani; 

si dissolverà il cielo; 

il mondo fermo resterà, amor mio, 

prima che ti tradisca, io. 

Una canzone che ti strappava il cuore, Molly. Pensare che qualcuno abbia mai nutrito tanta devozione.




"Una canzone che ti strappa il cuore"


 Joseph O'Connor



https://www.lastampa.it/cultura/2010/09/07/news/il-gin-su-una-canzone-br-che-strappa-il-cuore-1.37000120/




https://youtu.be/gZ2tluarzZs





https://youtu.be/_q7307IWwr4




Screenshot da:


https://twitter.com/RollingStoneita/status/1684459701625315328?ref_src=twsrc%5Egoogle%7Ctwcamp%5Eserp%7Ctwgr%5Etweet





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