«Secondo me, adesso io non son pratico, ma secondo me anche il capo dello stato, per il suo discorso dell’ultimo dell’anno, se lui per esempio cominciasse dicendo Cari italiani, quando comprate un uccello, guardate se ci sono i denti o se non ci sono. Se ci sono i denti, non è un uccello. Sarebbe un grande inizio, per un discorso di un capo dello stato».
Ho un po’ vergogna a dire che questi discorsi li ho scritti molto velocemente, perché a dire così sembra quasi che me ne vanti e ho letto, tempo fa, L’elogio della follia, di Erasmo da Rotterdam, dove Erasmo da Rotterdam, se non ricordo male, prendeva in giro quelli che si vantavano di aver scritto i loro libri molto velocemente. Io non me ne vanto, però li ho scritti molto velocemente, questi discorsi pronunciati nel corso degli anni e che trattano: delle biblioteche come agenzie ippiche; di Enzo Jannacci come uno tra i principali scrittori italiani contemporanei; della traduzione in una lingua inventata; del rapporto tra storia e letteratura; del tentativo fallito di esaurire la città di Scandiano; di un posto in cui non tira il vento ma si alza un mite grecale; di Cesare Zavattini; dell’inizio di Anna Karenina; della fine di Anna Karenina; delle bandiere anarchiche
Volevo immergermi in ciò che sembrava all’ultima moda: hippy, psichedelica. Happening. Anfe, fumo. Trascorrevo le mie giornate in un locale, il Fugetsudo, in mezzo a persone che si definivano scrittori oppure autori drammatici, e a sedicenti poeti erranti. Tra esistenzialisti e pseudoricercatori appassionati di Jean-Paul Sartre. Accanto a cameraman d’avanguardia, a disegnatori, a creativi della pubblicità, a cineasti… mischiato a questa fauna anch’io mi adeguavo al cazzeggio.
Negli intervalli, lavoravo in un jazz bar di Shinjuku, il Villane Gate; la notte mi presentavo dagli amici dei miei compagni fancazzisti e mi facevo invitare a stare con loro, vivendo come un parassita. Proprio a quell’epoca, precisamente, le rivolte studentesche contro il trattato di sicurezza nippo-americano erano praticamente finite e chi non aveva nessun progetto per il futuro vagava senza meta nel quartiere di Shinjuku, alla ricerca di gente con cui far passare il tempo. Quei fancazzisti timorosi della solitudine si riunivano quasi ogni giorno al Fugetsudo, imponendo ai clienti interminabili discussioni sulle loro teorie teatrali, cinematografiche o artistiche. Più li ascoltavo, meno riuscivo a sentirmi vicino a ciò che dicevano e le loro parole risuonavano nelle mie orecchie come menzogne. Per quanta scena facessero e per quanto si dessero un tono mentre smerciavano i loro discorsi erano tutti contapalle matricolati e finti fancazzisti, i quali, una volta tornati a casa, ritrovavano curiosamente dei genitori onorevoli, una famiglia a posto. (dal libro Asakusa Kid di Takeshi Kitano)